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Medardo Rosso

  • Mostra
  • 10 Settembre 2004 - 29 Novembre 2004

Direzione scientifica: Gabriella Belli, Piergiovanni Castagnoli
Contributi critici: Carlo Bertelli, Luciano Caramel, Giovanni Lista

Erano venticinque anni che non si dedicava una grande retrospettiva a Medardo Rosso, l’artista che, nell’Italia di fine Ottocento, seppe innovare profondamente la scultura, divenendo un “caso” per i contemporanei a livello internazionale e suscitando tutt’oggi numerosi interrogativi interpretativi.

Mai prima d’ora comunque erano state riunite insieme tante opere di Medardo, molte delle quali esposte per la prima volta in Italia, a ripercorrere l’intero iter creativo dell’artista: dalla sua prima scultura – El Looch del 1880 circa, che giunge dal Minneapolis Institute of Art nella versione originaria e fin’ora inedita - all’ultimo lavoro: quell’Ecce Puer del 1906, che pone anche la questione di un possibile avvicinamento del grande scultore al Simbolismo.

L’eccezionale eposizione “Medardo Rosso. Le origini delle scultura moderna”, che si è tenuta in prinma sede al Mart di Rovereto dal 28 maggio al 22 agosto 2004 – curata da Luciano Caramel, con la direzione progettuale di Gabriella Belli e Pier Giovanni Castagnoli – già nel titolo esplicita la forza dirompente e la spinta “rivoluzionaria” del grande artista: il “Cézanne” della scultura – si potrebbe dire - per la capacità che ebbe di forzare il linguaggio scultoreo, così come il pittore francese faceva con la prospettiva.

La mostra di Torino - che esporrà oltre una sessantina di sculture di Medardo, una ventina di fotografie, una decina di suoi lavori grafici, e quindici opere di grandi autori che furono in rapporto con l’artista o da lui influenzati (quali Rodin, Picasso, Brancusi, Mattisse e Boccioni) con prestiti dal Giappone, dagli Stati Uniti e da numerosi musei e collezioni europei - consentirà dunque di rileggere la figura e l’opera di Medardo, in passato troppo frettolosamente etichettato come impressionista.

Sarà l’occasione per evidenziare il complesso intreccio degli apporti che contribuirono alla maturazione dell’artista – da quelli formali degli scapigliati a quelli ideologici della “seconda scapigliatura”, fino agli apporti scientifici del positivismo – portandolo a quella fusione, a quel tutt’uno di materia e atmosfera, che si può ammirare in opere come La Portinaia, del 1883-1884, di cui verrà esposto il bronzo proveniente dal Toyota Municipal Museum of Art e due cere, una proveniente da Hakone e l’altra in collezione privata. Opere in cui Medardo mette in discussione gli statuti della scultura, in cui - attraverso l’interazione di oggetto e spazio e la vibrazione dei piani alla luce - fa “dimenticare la materia”.

Scultura viva è quella di Medardo, nella scelta dei soggetti e nella partecipazione emotiva, come nelle soluzioni compositive, estremamente innovative per la dislocazone libera dei personaggi nello spazio: pensiamo alla bellissima “Conversazione in giardino” del 1896, uno dei suoi capolavori “en plein air”.

La ricerca costante di Medardo, la sua tensione verso una scultura di luce capace di emozionare, risulta evidente anche nella rilettura che lo scultore faceva in termini concettuali e con una certa carica ironica delle proprie opere; così come nella nutrita serie delle cosiddette “opere di paragone”: copie dall’antico o da capolavori rinascimentali, d’après anche liberi, oppure addirittura calchi di opere “in piena opposizione ai postulati, formali e di poetica, sottesi al lavoro plastico di Rosso”.

Lo scultore se ne serviva per dimostrare, attraverso il confronto, la maggior verità - “nel senso di corrispondenza alla naturale energicità e non isolabilità di ogni cosa” - e il superiore valore artistico delle sue opere rispetto a quelle del passato; ma usava anche esporle nelle personali e venderle come opere sue. In mostra ci saranno a tal proposito interessanti esempi come la “Testa dell’Imperatore Vitellio”, esposta sia nella versione in bronzo, sia nella versione che Rosso dipinse d’oro e aprì con un largo taglio sulla nuca: opera acquistata direttamente presso l’artista nel 1896 dal South Kensington Museum di Londra ed ora conservata al Victoria & Albert.

Anche l’intervento su lavori realizzati in precedenza, mutilandoli, non è raro in Medardo ed anzi diviene negli anni sempre più frequente e deciso: in genere si tratta di operazioni dovute al desiderio di attenuare la descrittività dell’immagine - come nel caso dell’“Enfant au sein” che, modellato nel 1889, nelle versioni successive viene ridotto al particolare del bimbo che succhia il latte – ma la “ripresa” e la rivisitazione costante delle precedenti realizzazioni da parte dello scultore, che prosegue anche dopo il 1906, si può anche dire dia origine a vere e proprie nuove opere. La primitiva sensazione viene dunque rielaborata, sia attraverso l’uso delle patine - numerose soprattutto nelle cere - sia con i tagli, sia infine con l’uso di strumenti offerti dai materiali e dalle tecniche della fusione. Tra i tanti esempi: “Bambino alle cucine economiche” che nel tempo perde la massa volumetrica arrivando ad una lamina sottilissima.

Tra le tante opere eccezionali e le curiosità che saranno in mostra alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, già al Mart di Rovereto fino al 22 agosto scorso, che ha prodotto insieme alla GAM questa importante esposizione, si possono ricordare la cera - riemersa solo un anno fa sul mercato e legata alla primo periodo di Rosso – raffigurante l’“Aetas aurea”; l’opera “Bambina che ride” proveniente dalla Kamakura Gallery e mai esposta in Italia pima d’ora; il bellissimo “Uomo che legge” del Hyogo Prefectural Museum of Modern Art di Kobe, del 1894, che è una delle ultime cere di Medardo ed è anch’essa una novità per il pubblico italiano; ma anche un’inedita terracruda in collezione privata, piccolissima, conservata in una vetrinetta, con il ritratto dell’amico di Medardo, “Gennaro Favai” datata 1913-14.

“Medardo Rosso – scrisse Enrico Prampolini, recensendo la quadriennale romana che presentava una retrospettiva sull’artista, a tre anni dalla sua morte – non solo dischiuse un nuovo orizzonte alla scultura, ma spezzò l’incanto della plastica tradizionale e le sue leggi - cioè la forma e il volume, la materia e la statica - per avventurarsi nei regni inesplorati della luce e dello spazio, dell’atmosfera e dell’ambiente”.

Parole che restano attuali per definire la modernità di Rosso, la sua dimensione internazionale, il suo ruolo chiave - che in questa esposizione, accompagnata da catalogo Skira, è ben esplicito – nell’avvento dell’arte moderna.